Se cerchi informazioni sulla giustizia riparativa e di comunità, in questa pagina trovi un riassunto che ti aiuta a entrare nel tema.
Cos’è la giustizia riparativa
Una tra le definizioni di “giustizia riparativa” diffuse tra le varie istituzioni pubbliche a livello internazionale, è quella presente nella Risoluzione ONU n. 12/2002 del Consiglio Economico e Sociale che la definisce come un «qualsiasi procedimento in cui la vittima e l’autore di reato e, ove opportuno, qualsiasi altro individuo o membro della comunità lesi da un reato, partecipano insieme attivamente alla risoluzione delle questioni sorte dal reato, generalmente con l’aiuto di un facilitatore».
Il significato di “giustizia riparativa e di comunità” è quindi quello di un nuovo paradigma di giustizia, in relazione di complementarietà con il sistema penale vigente, che mira a risolvere i conflitti creati dai reati.
Perché la giustizia riparativa e di comunità è un’opportunità per tutti
Viene posta al centro la “persona” e il suo benessere nelle dinamiche relazionali, permettendo di riparare non “qualcosa” ma, scommettendo sulle persone e le loro capacità positive, di fare riparazione a qualcuno ovvero l’autore del reato, la vittima, la comunità (Marco Bouchard). Tutti hanno l’opportunità di interagire, supportati da mediatori e facilitatori, verso un obiettivo comune: la ricostruzione di quel legame sociale che si è spezzato al momento della commissione del reato, contribuendo anche a creare sicurezza per i cittadini e per le comunità locali. Per questo viene chiamata giustizia riparativa e di comunità. Si fonda, infatti, su più principi e valori: partecipazione attiva degli interessati; riparazione del danno causato dal reato; adesione libera e volontaria alle iniziative proposte, dopo adeguata informazione sulla loro natura e svolgimento; dialogo deliberativo e rispettoso; eguale attenzione ai bisogni e agli interessi delle persone coinvolte; dimensione collettiva e consensuale degli accordi; presenza di una figura terza con funzioni di facilitatore/mediatore.
Come nasce la giustizia riparativa e di comunità in Italia
In Italia le prime esperienze riconducibili a questo modello di giustizia, si trovano nell’ambito della giustizia minorile grazie agli istituti introdotti dal D.P.R. 448/1988 (Disposizioni sul Processo Penale Minorile), in particolare la messa alla prova. Questa misura penale ha posto per prima attenzione alle vittime, responsabilizzato il minore autore di reato, attivato percorsi di riparazione coinvolgendo magistrati, Servizi Sociali del Ministero della Giustizia, Servizi Sociali Territoriali ed enti del Terzo settore.
Nei primi mesi del 2019, il Dipartimento di Giustizia Minorile e di Comunità del Ministero della Giustizia ha pubblicato le “Linee di indirizzo in materia di giustizia riparativa e tutela delle vittime di reato” con cui incoraggia “i servizi della giustizia a sviluppare, implementare, sperimentare e sostenere approcci e programmi di giustizia riparativa”. Il Dipartimento dichiara inoltre che “lo sviluppo di percorsi di giustizia riparativa rappresentano una priorità” e invita i servizi della giustizia a costituire la “rete della giustizia riparativa”, coinvolgendo enti pubblici e di Terzo settore delle comunità locali.
Ma non siamo l’unico Paese ad averla adottata: l’Unione Europea, nella Raccomandazione del Comitato dei Ministri dell’Unione Europea agli Stati Membri (2018), constata un interesse crescente per questo paradigma in molti Stati dell’Unione e ne riconosce i potenziali benefici nel ripristinare la pace e nel realizzare armonia sociale e giustizia.
Giustizia riparativa, come fare a Verona
Partendo da queste premesse, il Centro di Servizio per il Volontariato di Verona (Federazione del Volontariato di Verona ODV – CSV di Verona ODV) promuove la cultura riparativa attraverso esperienze dirette di attivazione sociale come lavori di pubblica utilità, messa alla prova, affidamento in prova al servizio sociale, aprendo nuovi spazi di solidarietà e creando i presupposti per una riconciliazione tra il reo, la vittima e la comunità. Enti di Terzo settore e associazioni di Verona e provincia, avvocati o persone interessate ad avviare percorsi di giustizia riparativa, possono prendere contatti per avere un orientamento e un servizio di “ponte” tra le diverse realtà. Qui le prime informazioni per i cittadini che vogliono attivare una misura e le associazioni che desiderano accoglierli.
Il CSV è aderente al Tavolo Permanente per la Giustizia Riparativa di Verona (vedi il Manifesto) e mantiene un dialogo con i soggetti protagonisti del territorio direttamente coinvolti nei percorsi di giustizia di comunità e riparativa. Con il Tavolo organizza, fra le varie attività, seminari formativi per avvocati, studenti, giornalisti (molti dei contenuti di questa pagina sono tratti dal Manifesto).
Che cosa puoi fare: opportunità a disposizione per enti che accolgono e cittadini che scontano una pena
Queste le misure possibili con la giustizia riparativa e di comunità.
“Lavoro di pubblica utilità” (LPU) – È applicabile ai casi di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope per reati di lieve entità con pene da uno a sei anni (Art. 73 DPR 309/90, co. 5 e 5 bis) e per guida in stato di ebbrezza e/o in stato di alterazione psico-fisica da uso di sostanza stupefacenti, o di rifiuto a sottoporsi agli accertamenti previsti dalla legge (Codice della Strada, art. 186 co. 9 bis e art. 187 co. 8 bis come modificato dalla legge n. 175/2010).
I tribunali hanno il compito di stipulare convenzioni con enti di differente natura per lo svolgimento del “Lavoro di pubblica utilità” (come previsto dall’art. 54 del decreto legislativo 274/2000 e dall’art. 2 decreto ministeriale 26/03/2001).
“Messa alla prova” (MAP) – Comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, quando possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Comporta inoltre l’affidamento dell’imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l’altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali. La concessione della messa alla prova è inoltre subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità. L’Ufficio Esecuzione Penale Esterna (UEPE), responsabile per queste misure, appartiene al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia. Ha il compito di aiutare le persone sottoposte a esecuzione penale ad agire nel rispetto della legalità e con responsabilità, contribuendo alla sicurezza sociale e nel rispetto dei principi sanciti dalla Costituzione italiana.
La messa alla prova è prevista dalla Legge n. 67/2014.
“Affidamento in prova” al servizio sociale (AP) – È una misura alternativa alla detenzione. Si attua con l’affidamento del condannato a un servizio sociale fuori dall’istituto, per un periodo corrispondente alla pena da scontare. La misura può essere concessa solo in alcuni casi: ai condannati a pena detentiva non superiore a 4 anni e purché l’osservazione della personalità del soggetto dia esito positivo e convinca dunque degli effetti rieducativi che potrebbero conseguirne.
La misura dell’affidamento in prova al servizio sociale è disciplinata dall’art. 47 dell’ordinamento penitenziario (L. 354/1975).
Risolvi gli ultimi dubbi
Se vuoi saperne di più, puoi leggere la guida Volontariato e giustizia riparativa. Il lavoro di pubblica utilità.
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Puoi contattarci per altri dettagli dopo aver visionato la Carta dei Servizi e delle Opportunità.
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Irene Magri – Sportello Giustizia: i.magri@csv.verona.it