Sabato 16 novembre, ore 10.00, nell’aula “Vecchioni” al Policlinico di Borgo Roma di Verona si terrà l’incontro “Come i farmaci usati nel diabete mellito di tipo 2 possono ritardare il declino cognitivo dipendente dall’età, la demenza, ed i processi degenerativi nella malattia di Parkinson”.
Il prof. Stefano L. Sensi, ordinario al Dipartimento di Neuroscienze, Imaging e Scienze Cliniche presso l’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti – Pescara, e Institute for Memory Impairments and Neurological Disorders, University of California, Irvine, illustrerà gli studi che dimostrano come l’uso di farmaci usati nel diabete mellito di tipo 2 possano ritardare il declino cognitivo dipendente dall’età, la demenza, e in processi degenerativi nella malattia di Parkinson.
Il prof. Sensi illustrerà inoltre interventi neuroprotettivi non farmacologici, tra cui la stimolazione cerebrale non invasiva, l’esercizio fisico, interventi sul sistema cardiovascolare nonché l’allenamento cognitivo.
Entro il 2050, si prevede che i costi sanitari legati al trattamento dei pazienti affetti da malattie neurodegenerative come morbo di Parkinson (PD) e malattia di Alzheimer (AD) metteranno a rischio le economie di tutto il mondo.
Ad oggi, le uniche terapie disponibili si basano su farmaci che non sono in grado di modificare il decorso della malattia.
C’é un grande bisogno di approcci alternativi e/o aggiuntivi per contrastare questa crisi sanitaria in arrivo.
Dato che non sono disponibili interventi farmacologici in grado di cambiare il corso della malattia, porre l’attenzione sui soli agenti farmacologici sembra un approccio insufficiente.
È invece probabile che l’utilizzo di combinazioni di diversi approcci si riveli più efficace nello stimolare cambiamenti molecolari di lunga durata che ripristinano, promuovono e preservano le funzioni cerebrali.
Nell’ambito farmacologico, un approccio fruttuoso è offerto dall’indagine sull’intersezione tra dismetabolismo del glucosio e i meccanismi che controllano la compromissione del funzionamento cerebrale.
Il diabete mellito di tipo 2 (T2DM) è infatti associato a neurodegenerazione. L’invecchiamento, un fattore chiave che contribuisce allo sviluppo delle patologie neurodegenerative, aumenta notevolmente l’impatto negativo di T2DM sulle funzioni del cervello. Inoltre, evidenze scientifiche raccolte negli ultimi due decenni, hanno dimostrato che T2DM e neurodegenerazione condividono meccanismi patogenetici comuni come alterato metabolismo del glucosio, l’aumento dello stress ossidativo, la resistenza all’insulina e la produzione di aggregati proteici neurotossici.
Nel cervello, il signaling dell’insulina svolge un ruolo chiave nella modulazione delle funzioni neurotrofiche e neuroendocrine.
Unione Parkinsoniani Verona
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