Un telefono fa la differenza

csv fv16 talkLo sapevi che…? Da scoprire in piazza Bra alle 15.00 con il talk Un telefono fa la differenza durante la XVI Festa del Volontariato domenica 25 settembre.

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Quando chiedere aiuto significa metterci la faccia, un telefono può rendere più facile il primo passo. Violenza di genere, malattia, disagio sociale, solitudine. Una voce risponde: l’invisibile che fa la differenza.
– ADO Assistenza Domiciliare
– Associazione Telefono Amico Mondo X
– AUSER Volontariato Filo d’Argento di Verona
– Telefono Rosa
«Il primo contatto con un telefono amico avviene per non scoprirsi ed è un segnale di presa di coscienza di un problema» spiegano al Telefono Amico Mondo X, telefono “non colorato”, che si fa carico delle più differenti necessità. Si ricevono chiamate per i motivi più diversi, ma in sostanza riconducibili a solitudine, a un disagio momentaneo o per una patologia, i più per depressione. Gli operatori, formati all’ascolto attivo, senza giudizio, lasciano parlare e, quando necessario, orientano verso servizi utili, ma anche, se il bisogno resta l’ascolto, verso telefoni dedicati a specifiche tematiche, collaborando così con altre realtà istituzionali e associazioni. Di tutte le età, gli utenti che chiamano cercando indicazioni, qualcuno invece telefona per sfogare l’aggressività di cui da solo non sa disfarsi, e qui, la formazione degli operatori è davvero importante per non andare in bourn out, ma i più sono quelli affezionati per i quali la chiamata diventa un appuntamento per sentirsi meglio, ma anche un modo per crescere nel proprio percorso. Il telefono diventa quindi il primo strumento per agire, per fare qualcosa, per iniziare a prendere in mano la situazione, un poco alla volta. «Le richieste di solo orientamento, con l’avvento di Internet, sono infatti diminuite perché i più provvedono da sé» spiega chi è volontario da venticinque anni «se in passato ci chiamavano ad esempio per un nodulo scoperto al seno o per l’AIDS, ora a noi toccano più le difficoltà di chi non riesce a comunicare e a stabilire delle relazioni positive o subisce l’individualismo verso cui siamo sempre più spinti».

Di solitudine ne ascolta molta Il Filo d’Argento di Verona dell’ AUSER Volontariato, quella della terza età, ma anche denunce di chi ha subito qualche sopruso, magari da un figlio che vuole la pensione, impoverendo una situazione già difficile. I volontari svolgono anche un’attività routinaria di compagnia chiamando loro stessi  gli anziani per assicurarsi che stiano bene e rilevare eventuali bisogni, a volte per la casa, la spesa, un adempimento burocratico che non si sa come affrontare, un passaggio per una visita medica quando c’è il timore di creare disagio sul posto di lavoro ai famigliari. Piccoli bisogni, ma ci sono anche situazioni più difficili che richiedono la segnalazione per un aiuto da parte dei servizi sociali, perché gli anziani quando entrano in confidenza si aprono e raccontano le situazioni drammatiche che ai più tacciono, anche la tossicodipendenza pluriennale di un figlio. Al telefono i volontari lavorano molto su rapporti che diventano continuativi, una voce che sai che c’è, per compagnia e per aiuto concreto.

Vanno invece nel cuore delle malattie oncologiche all’ADO, con un servizio telefonico estremamente focalizzato, destinato per lo più a diventare un rapporto a tu per tu. Anche in questo caso l’ascolto è la prima cosa da fare, lasciare che chi chiama racconti le proprie vicende poi, i volontari dànno le prime informazioni utili e fungono da filtro per attivare eventualmente servizi specialistici come il sostegno infermieristico, palliativista, psicologico o per spiegare iter procedurali, ad esempio l’accesso all’hospice. Con molti utenti si instaura un rapporto continuativo, sia per il bisogno di ricevere successivi ragguagli, sia per la presa in carico dell’associazione che prosegue il servizio, come nel caso dell’attivazione di un percorso per il sostegno psicologico su appuntamento, da svolgersi anche a casa di chi vive la patologia quando spostarsi diventa difficile. Un aiuto che diventa prezioso non solo per il paziente oncologico, ma anche per la famiglia che si trova a dover affrontare e accettare una così dura prova, quando per molti diventa difficile capire come rapportarsi con un affetto a fine vita. Lo stress è molto e può portare all’aggressività l’utente, per questo è importante che i volontari dell’Assistenza Domiciliare Oncologica siano formati, non solo per gestire gli aspetti operativi, ma in particolare per far fronte alle tensioni, in modo da rendere utile ogni chiamata al di là dello sfogo. E i numeri, drammatici, chiariscono il carico di lavoro: dal 2012 sono 150 i nuovi pazienti oncologici che l’associazione segue, su un totale di 600 già in carico, in collaborazione con i reparti ospedalieri.

Se chiamare un “telefono” per un aiuto estemporaneo può essere il primo passo per trovare aiuto continuativo o iniziare un percorso di risalita, lo è ancora di più per il Telefono Rosa. «Una donna impiega in media ben sette anni per riuscire a dar voce a una violenza subita» spiegano le volontarie «ciò vuol dire che la prima chiamata è un momento importante perché alla base c’è un lento percorso interiore che la sta portando a esternalizzare e, magari, a prendere delle decisioni». I volontari si trovano a intervenire in situazioni in cui le relazioni familiari hanno un peso notevole, se si considera che spesso la violenza è compiuta dal proprio compagno: denunciare il marito significa denunciale il padre dei propri figli, il figlio del suocero, o il fratello del cognato con tutto ciò che può comportare, e frenare. Nelle trame delle relazioni anche le violenze si amplificano perché, ad esempio, vivere in una casa in cui una madre può essere picchiata, e subire la così detta “violenza assistita”, significa fare proprio che quel comportamento sia ammissibile e riproducibile. Sono situazioni che non hanno classe sociale, fra i violenti anche laureati e professionisti, come trasversale è l’età di chi commette il reato e di chi lo subisce. Anche le sostanze che possono alterare, alcol o droghe, non sono fra le sole cause scatenanti su tutte il più difficile da combattere è un problema culturale.
Sono queste le situazioni in cui si trovano a operare le volontarie dell’associazione. Rispondono alle donne che hanno bisogno di raccontare, che vogliono capire cosa comporta la separazione, cosa accadrà ai figli, che hanno bisogno di un supporto con una figura legale o con uno psicologo. Per loro l’associazione è disponibile a fissare un appuntamento affiancandole agli specialisti oppure a inserirle in un gruppo di auto mutuo aiuto condotto da uno psicologo, altre trovano un appoggio temporaneo in una struttura di accoglienza, qualcuna è orientata verso il Consigliere di Parità per le molestie subite sul lavoro. Ci sono donne che invece alla denuncia non arrivano, si adattano alla loro situazione, non la lasciano trasparire alcun nessun segnale che qualcuno possa raccogliere.